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Mo Better Timo: la recensione di La notte su di noi

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Espressioni dopo una giornata di set con Timo

A Giacarta, nel cuore della notte, squilla un cellulare. Risponde un regista assonnato, non fa nemmeno in tempo a parlare che all’altro capo del telefono una voce alterata lo investe: «Kimosabe, mi hermano, come stai devo parlarti cose ne pensi delle elezioni in Brasile non trovi sia particolarmente umido oggi?»

«Timo sei tu? Sono le tre del mattino»

«E a Stoccolma sono le 20, non possiamo permettere che i fottuti svedesi ci sorpassino. Fratello, ho una serie di idee per il prossimo film. Come sta la mamma?»

«Ne abbiamo già parlato Timo, non siamo veramente fratelli. Hai di nuovo preso a martellate le Tic Tac per sniffarle? Sai cosa ne penso»

«No bello, quella era la dieta per Headshot. Per questo nuovo film solo suffumigi con il vapore di caramelle gommose liquefatte. Ho visto i dragoni compadre, gli orsetti mi hanno parlato. Mi hanno detto di fare TUTTO. Lo chiamiamo The Night Comes For Us, ci mettiamo le nostre squartatine horror da malati in testa più tutte le solite cose di Gareth – chi non vuole uno stuntman che cade dal terzo piano sbattendo contro i cassoni dell’aria condizionata? Grande classico. Ci aggiungiamo Tarantino e quel tizio danese con gli occhialini che una volta è andato in Thailandia. O era Taiwan? Chissenefotte. E poi ho scoperto questi due giovani registi hongkonghesi pazzurdi, John To e Johnnie Woo, o qualcosa del genere. Mettiamo dentro anche loro. Facciamo un film di gangster serissimo, ma con toni da fumetto, ma con spruzzate di gore, ma con le arti marziali, ma con un sacco di pathos, una roba epica, ci mettiamo dentro i cinesi, e anche le ninja lesbiche. KIMO STO VOLANDOOO»

«Porca puttana Timo, non di nuovo. Stai calmo. Adesso chiamo Iko e mettiamo tutto a posto. Tu respira. E stai lontano dagli orsetti gommosi»

«Autostrada desertaaaaa, ai confini del mareeee. Vecchio, devi troppo ascoltare questo Venditti. Sai che conosce Angelina Jolie

«Siamo spacciati».

Sigla!

La notte su di noi – sì, un film indonesiano con un titolo italiano: perché è bello vero e perché Netflix – è a mani basse l’apice della rumorosa carriera da regista di Timo Tjahjanto. Quel picco che ti fa dire, ok adesso basta Ctrl c + Ctrl v: imparo come si scrive il suo nome e dove vanno le acca e le i lunga. Un film da Mo Better Timo, in cui il regista riesce nell’impossibile, trasformando in stile le sue due enormi idiosincrasie. Quelle cose da adolescente brillantone e un po’ smargiasso, tracotante e con il ciuffo sghembo, che già Quantum e Luotto avevano smascherato: la bulimia di Headshot e le pretese di Killers. La notte su di noi può essere riassunto con l’immagine di Timo, in after dopo una nottata di Snickers, che parla concitato allo specchio «Non sono io che sono sbagliato, siete voi che non mi capite. Non cambierò mai, e mi accetterete prima o poi». E beccami gallina se non ha avuto ragione.

Qui faccio Johnnie To

La ragguardevole nottata di Ito inizia e finisce in riva al mare – più o meno come succedeva in Headshot, AUTORIALITÀ. Ito è uomo di poche parole, forte, le(t)ale, nettamente un eroe uscito da un noir hongkonghese, con anche la clausola del suffisso anti- da anteporre causa affiliazione con le Triadi cinesi. Ma Ito, nelle Triadi, ci è finito per caso e non per scelta, per difendere la piccola ghenga di guappi di quartiere che comandava con piglio da burbero fratellone protettivo, e composta da tutti gli amichetti d’infanzia. C’è il fedele braccio destro Fatih, la voce della diplomazia e della ragione; c’è Bobby il bianco, la cui tossicodipendenza ha creato le tensioni con la mala cinese; c’è il pischello ambizioso Arian; e poi tutti gli altri, carne da macello emotivo. Dicevamo: ora Ito è nel più classico dei mercoledì in ufficio, lui e i suoi uomini stanno massacrando un villaggio di pescatori straccioni che facevano la cresta sull’eroina dei cinesi, quando ha una crisi di coscienza appena prima di giustiziare sommariamente una bambina che stava per fuggire. Una sventagliata di mitra sui sottoposti e una fuga con la piccola sopravvissuta più tardi, e Ito è in rampa di lancio per una nottata in cui, con l’aiuto di quasi tutti i vecchi amici rimasti, deve difendere un’innocente, sconfiggere l’organizzazione criminale più potente del sud-est asiatico, scappare lontano da Giacarta e, se gli avanza tempo, anche sistemare certi conti con il passato.

Qui faccio Refn

E la notte che cala su tutti loro è davvero lunghissima come sembra. Nei primi 20 minuti di film, Timo getta le basi dei rapporti fra i personaggi, costruisce il trampolino emotivo che farà andare su e giù quando cominceranno le botte, crea una mitologia extra-diegetica credibile benché appena accennata: i Sei Mari (misteriosi super assassini al soldo delle Triadi), il passato da piccoli criminali sgangherati di Ito e compagnia, l’introduzione di Fatih, Bobby e Arian, le basilari motivazioni delle pedine in gioco. Tutto imbastito con economia e funzionalità da una sceneggiatura che sembra scritta dal gemello sobrio di Timo, Cumino Tjahjanto. Poi, dal ventunesimo minuto in avanti e con l’eccezione di rapidi (e utili) flashback più uno spiegone abbastanza contenuto, sono solo mani in faccia, arti spezzati, articolazioni rimosse, mannaie smussate, fucili d’assalto, pezzi di vetro, budella, prelievi di sangue non richiesti, sgozzamenti, bombe a mano, garrote, voli dal terzo piano, coltellini a serramanico, testicoli percossi da letterali piedi di porco, cherosene, avvisi delle signore delle pulizie, fucili a pompa, polizia corrotta, uzi, cinesi cattivi, vani eroismi, tradimenti, e almeno un morto accoltellato per mano di una bambina.

Qui faccio uno zoom come Tarantino

Davvero una lunga lista della spesa. Quasi troppo, tenendo conto che nella foga di accumulare all’inverosimile, Timo riesce a dimenticarsi due errori di montaggio, minuscoli e ininfluenti ma che risaltano il giusto, tipo il tatuaggio di Mike Tyson. E nell’elenco ci starebbe anche non solo quello che è finito dentro al film, ma tutto quello che succede prima, durante e dopo e che non viene mostrato, ma solo accennato. La notte su di noi si apre con alcune didascalie che spiegano chi sono i Sei Mari, soldati d’élite al soldo delle Triadi che hanno carta bianca su tutto, e invece di soddisfare la fotta e mostrarci la storia di come vengano spazzati via dall’eroe di turno, ne vediamo solo uno all’opera. Dove sono gli altri cinque? Perché non ci sono già altrettanti film su di loro? Possiamo suggerire i titoli: Su di noi la mattina è una favola (lo spinoff action rom-com), Il pomeriggio incombe, Vespri insanguinati, Compieta di passione, Happy Hour al porto di Giacarta. E chi diamine è l’invincibile assassina interpretata da Hammer Girl, a cui qualcuno di non meglio identificato ha commissionato l’assassinio dei Sei Mari e che finisce con l’aiutare Ito nella sua rivincita morale affrontando le due ninja lesbiche che appartengono all’indefinita organizzazione chiamata Lotus? Siete confusi e avete allo stesso tempo voglia di vedere un intero film in cui Hammer Girl trucida ninja lesbiche? Benvenuti nel club.

Qui faccio il finale di A Better Tomorrow

Alla fine Timo ce l’ha veramente fatta. La notte su di noi non è un film perfetto, tanto che se il lungo combattimento nel garage non esistesse, nessuno ne sentirebbe la mancanza. Ma rimane comunque un film di menare enorme, un bicchiere pieno fino all’orlo e forse anche un po’ di più. Per giustificare la sua bulimia, Timo parte da un pretesto (pochi poveretti contro tanti potenti) e da una struttura narrativa che pretendono l’accumulo e accettano l’esagerazione. L’equilibrio tra drammone malavitoso e iperbole da cinefumetto sembra sempre sul punto di spezzarsi, ma tiene. Anche e soprattutto grazie alle coreografie di Iko Uwais e del suo team, che regalano grosse soddisfazioni. L’idea, barbaramente pretenziosa, di aggiungere un bignami delle bromance gangster di Johnnie To e John Woo all’estetica action di Gareth Evans e al gusto gore dei Mo Brothers è inaspettatamente ideale e ben sfruttata, è un collante perfetto. Joe Taslim nei panni di Ito è stolido, cane il giusto e fisicamente mostruoso. Inoltre sfodera un ghigno satanico da applausi. Iko Uwais esce sparato dal cannone dallo stereotipo del cucciolo di eroe, e con la sola espressione che si ritrova fa i miracoli nel ruolo trilingue (indonesiano, cinese e inglese) del nemicoamico Arian, ambizioso, machiavellico e anche un po’ stronzo. Il resto della banda, più o meno tutta riciclata da Headshot e i The Raid, continua a migliorare a ogni giro di giostra. E Timo forse ha finalmente capito qual è la sua strada: più zucchero, ma anche più amici fidati pronti fermarlo quando urla «E ADESSO CI METTIAMO ANCHE UN PO’ DI MICHAEL BAY E TARKOVSKIJ».

La morale del film

DVD quote:
«Un film che meriterebbe spinoff, sequel e prequel»
(Toshiro Gifuni, i400calci.com)

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